Recensione di Paolo Rizzi

... In particolare il volto femmi­nile rimanda all'archetipo di una bellezza ideale, direi platonica, cioè riportata ad un modello assoluto. La natura, diceva Cézanne, si può ricondurre ad elementi geometrici puri. Così Comacchio inserisce idealmente ovali, sfere, quadrati, triangoli nella struttura di base delle sue opere. Si sente, quasi in filigrana, la scansio­ne strutturale che conduce ad un ordine compositivo che è anche ordine mentale: biologico e psichico insieme. Su questo schema intellettuale si sovrappone, senza sfor­zo, l'immediatezza del segno, caratterizzato da una rapidità istintuale. Ne guadagna la freschezza dell'o­pera, quel suo apparire come evento improvviso su una base organicamente calibrata.
Ecco quindi la scelta stes­sa dell'affresco: tecnica in cui la finezza materica, la granulosità del tessuto, l'assorbimento della luce, il senso stesso del muro corroso si uniscono alla sensazio­ne di una temporalità del fare, come momento di estrin­secazione immediata dell'immagine. Il tutto assume un'aura che è antica e nello stesso tempo moderna, fatta di scatti timbrici e di larghe pause meditative, di raffi­natezze cromatiche e di primarietà espressive. Ma poi ci si accorge che anche nei pastelli, e persino negli acquerelli, l'immagine assume la stessa fisionomia: quel­la suggestione che offre proprio un impianto di congruenza formale classica su cui si salda l'impromptu bril­lante dell'artista. I ritratti in particolare, sia pittorici sia scultorei, diventano momenti in cui i caratteri fisionomi­ci si saldano a quelli psicologici; e la vitalità ne zampil­la in modo del tutto spontaneo. Il ritorno a Raffaello, di cui si parlava, è appunto un rin­verdire della classicità perenne. In questo senso l'opera di Comacchio rappresenta senza presunzioni nè alba­gie il momento di una cultura moderna che si rinnova attraverso i valori perenni dell'antico.