...La novità non sta dunque nella scelta dei soggetti, né
tantomeno nella singolarità degli strumenti o dei linguaggi,
ma nella sincerità dell’emozione provata di fronte ad essi e
nella capacità di trasmetterla agli altri.
Ritroviamo i paesaggi asolani, tersi dalla luce del sole
primaverile, con colline e chiome d’alberi trafi tti d’aria,
mutevoli e lievi come nubi, dove i verdi e gli azzurri
acquistano sostanza e brillantezza dal contrasto con i fondi
aranciati e terrosi e le forme sono appena suggerite e sfi orate
dal tocco rapido, inquieto e vibrante del pennello. Tutto è
epifania di una felicità interiore, brivido e commozione
di fronte alla natura, all’esistente ed è soprattutto nei
paesaggi che S.C. abbandona ogni indugio descrittivo e il
linguaggio si fa lirico, simpatetico, evocativo.
Negli studi monocromi invece l’anima scultorea dell’artista
si imprime visibilmente nel tracciato pittorico, forgiando
con folgoranti bagliori le masse corporee e scandendo con gli
scuri gli affondi dei piani.
Nell’opera “due fi gure - tonalità di grigio”, una donna
ritta al centro del quadro e con le braccia sollevate, l’altra
distesa e raccolta ai piedi, la tensione è data non solo dalla
struttura compositiva del dipinto, ma dal segno incisivo,
nervoso che percorre e modella le fi gure e che è la cifra
stilistica dell’artista.
Similmente, nelle sculture, la realtà dei corpi è sublimata,
l’evidente bellezza delle fi gure si sostanzia nella grazia e
giovinezza del loro essere, ma la classicità delle pose è
superata dalla verità dei modelli, dalla spontaneità dei gesti
e dalla sensualità e sinuosità delle linee e delle forme.
Le fi gure femminili con i cerchi, appaiono ancor più vive
e sfuggenti per effetto della superfi cie mossa della cera,
sembrano assumere concretezza dall’improvviso agglutinarsi
della materia, come fulminee visioni destinate presto a
mutare sotto i nostri occhi. E’ tuttavia con i ritratti che
l’autore tocca le corde più alte del linguaggio espressivo:
in “ritratto su fondo rosso” la verità del soggetto è resa dal
naturale trascolorare della luce vivida sull’incarnato del
volto in contrasto con l’ombra estesa sull’altra metà del
viso e con lo sfondo scuro alle spalle; l’iride nera, lo sguardo
intenso e profondo fanno così da evidente contrappunto
all’acceso e sanguigno vigore dei tratti facciali.
Ugualmente i volti a tuttotondo (Denise, Bruno, Italo...)
diventano reali presenze, pregne del carattere e delle
sembianze di una persona, sottratte alla condizione
ineludibile del tempo, così che ciò che appare non è
soltanto l’essenza del soggetto, ma la vita stessa, fi ssata
al compimento della sua perfezione. La scultura non è però
solo pieno e luce, ma anche scavo, assenza, spazio d’ombra
e, così come la musica, si compone di pause e silenzi. Poiché
ciò che vive non è tutto manifesto, ma è anche interiorità,
mistero, gli sguardi hanno duplice valenza: ammiccano a
uno “spazio altro” che sta dentro e fuori la fi gura, creando
una giocosa e magica corrispondenza tra lo spirito virtuale
della persona ritratta e quello reale dell’osservatore, tra
l’identità rappresentata e celata dall’oggetto e quella del
pubblico.
In “Michela”, vivace ritratto in terracotta, la treccina di
sottili fi li di cotone appuntata alla nuca si fa ilare e raffi nato
vezzo, richiamando all’indistinto confi ne tra arte e natura,
alla contaminazione tra mondo reale e suo artifi cio, come
nella scultura polimaterica di Degas ”Petite danseuse de 14
ans”.
Ciò che appare naturale e semplice agli occhi è, in verità,
frutto di un’attività intensa e di una lunga e profonda
esperienza dell’artista, è catarsi del proprio linguaggio e
risposta a un bisogno irrinunciabile: l’espressione di sé e
del proprio sentire. Per questo Sergio Comacchio si colloca
al di fuori delle mode e delle recenti tendenze del mercato
contemporaneo, perché il coraggio dell’autenticità è
oggigiorno, in sé, quasi atto profetico, di rilancio di valori,
di coerenza, di proiezione e intuizione delle istanze del
futuro e, proprio per questo, spesso, anche di inadeguato
riconoscimento. Piace allora pensare davanti a questi lavori
che, fi nché vi sarà ragione di commozione e meraviglia di
fronte all’opera dell’uomo, vi sarà spazio per l’arte e la
speranza, perché, come diceva il protagonista di uno dei
romanzi più celebri di Dostoevskij è proprio l’incanto, “la
bellezza che salverà il mondo”.