Recensione di Federica Pellizzari

...La novità non sta dunque nella scelta dei soggetti, né tantomeno nella singolarità degli strumenti o dei linguaggi, ma nella sincerità dell’emozione provata di fronte ad essi e nella capacità di trasmetterla agli altri.
Ritroviamo i paesaggi asolani, tersi dalla luce del sole primaverile, con colline e chiome d’alberi trafi tti d’aria, mutevoli e lievi come nubi, dove i verdi e gli azzurri acquistano sostanza e brillantezza dal contrasto con i fondi aranciati e terrosi e le forme sono appena suggerite e sfi orate dal tocco rapido, inquieto e vibrante del pennello. Tutto è epifania di una felicità interiore, brivido e commozione di fronte alla natura, all’esistente ed è soprattutto nei paesaggi che S.C. abbandona ogni indugio descrittivo e il linguaggio si fa lirico, simpatetico, evocativo.
Negli studi monocromi invece l’anima scultorea dell’artista si imprime visibilmente nel tracciato pittorico, forgiando con folgoranti bagliori le masse corporee e scandendo con gli scuri gli affondi dei piani.
Nell’opera “due fi gure - tonalità di grigio”, una donna ritta al centro del quadro e con le braccia sollevate, l’altra distesa e raccolta ai piedi, la tensione è data non solo dalla struttura compositiva del dipinto, ma dal segno incisivo, nervoso che percorre e modella le fi gure e che è la cifra stilistica dell’artista.
Similmente, nelle sculture, la realtà dei corpi è sublimata, l’evidente bellezza delle fi gure si sostanzia nella grazia e giovinezza del loro essere, ma la classicità delle pose è superata dalla verità dei modelli, dalla spontaneità dei gesti e dalla sensualità e sinuosità delle linee e delle forme. Le fi gure femminili con i cerchi, appaiono ancor più vive e sfuggenti per effetto della superfi cie mossa della cera, sembrano assumere concretezza dall’improvviso agglutinarsi della materia, come fulminee visioni destinate presto a mutare sotto i nostri occhi. E’ tuttavia con i ritratti che l’autore tocca le corde più alte del linguaggio espressivo: in “ritratto su fondo rosso” la verità del soggetto è resa dal naturale trascolorare della luce vivida sull’incarnato del volto in contrasto con l’ombra estesa sull’altra metà del viso e con lo sfondo scuro alle spalle; l’iride nera, lo sguardo intenso e profondo fanno così da evidente contrappunto all’acceso e sanguigno vigore dei tratti facciali.
Ugualmente i volti a tuttotondo (Denise, Bruno, Italo...) diventano reali presenze, pregne del carattere e delle sembianze di una persona, sottratte alla condizione ineludibile del tempo, così che ciò che appare non è soltanto l’essenza del soggetto, ma la vita stessa, fi ssata al compimento della sua perfezione. La scultura non è però solo pieno e luce, ma anche scavo, assenza, spazio d’ombra e, così come la musica, si compone di pause e silenzi. Poiché ciò che vive non è tutto manifesto, ma è anche interiorità, mistero, gli sguardi hanno duplice valenza: ammiccano a uno “spazio altro” che sta dentro e fuori la fi gura, creando una giocosa e magica corrispondenza tra lo spirito virtuale della persona ritratta e quello reale dell’osservatore, tra l’identità rappresentata e celata dall’oggetto e quella del pubblico.
In “Michela”, vivace ritratto in terracotta, la treccina di sottili fi li di cotone appuntata alla nuca si fa ilare e raffi nato vezzo, richiamando all’indistinto confi ne tra arte e natura, alla contaminazione tra mondo reale e suo artifi cio, come nella scultura polimaterica di Degas ”Petite danseuse de 14 ans”.
Ciò che appare naturale e semplice agli occhi è, in verità, frutto di un’attività intensa e di una lunga e profonda esperienza dell’artista, è catarsi del proprio linguaggio e risposta a un bisogno irrinunciabile: l’espressione di sé e del proprio sentire. Per questo Sergio Comacchio si colloca al di fuori delle mode e delle recenti tendenze del mercato contemporaneo, perché il coraggio dell’autenticità è oggigiorno, in sé, quasi atto profetico, di rilancio di valori, di coerenza, di proiezione e intuizione delle istanze del futuro e, proprio per questo, spesso, anche di inadeguato riconoscimento. Piace allora pensare davanti a questi lavori che, fi nché vi sarà ragione di commozione e meraviglia di fronte all’opera dell’uomo, vi sarà spazio per l’arte e la speranza, perché, come diceva il protagonista di uno dei romanzi più celebri di Dostoevskij è proprio l’incanto, “la bellezza che salverà il mondo”.