Fuggenti Bellezze
13 novembre - 4 dicembre 2017, Ca' dei Carraresi, Treviso
Recensione Alain Chivilò
Fuggenti Bellezze
13 novembre - 4 dicembre 2017, Ca' dei Carraresi, Treviso
Recensione Alain Chivilò
Da Le Grazie
poema incompiuto di Ugo Foscolo
Forse (o ch’io spero?) artefice di numi,
nuovo meco darai spirito alle Grazie
che or di tua man sorgon dal marmo: anch’io
pingo, e la vita a’ miei fantasmi ispiro;
sdegno il verso che suona e che non crea;
perché Febo mi disse: io Fidia primo
ed Apelle guidai con la mia lira.
Nella contemporaneità parlare di bellezza non è così semplice. I canoni che la definiscono sono cambiati attraverso l’avvento di nuove generazioni, ma soprattutto nuovi costumi sociali. Nel secolo scorso una situazione bella si evidenziava naturalmente e con stile, mentre oggi deve aiutarsi attraverso supporti che si generano in ambienti di confine tra l’eccentricità e la volgarità. Tutto si compie in istanti che si dileguano velocemente, perché l’importanza odierna si determina nell’essere presenti al fine di farsi comunque notare. Di conseguenza, oggi più che mai, la bellezza si configura come un enigma dalle molteplici soluzioni. Su di essa, nel Canzoniere, Francesco Petrarca cantava di una “cosa bella e mortal passa e non dura”, mentre di tutt’altra interpretazione è la definizione di Oscar Wilde perché rappresenta “l’unica cosa contro cui la forza del tempo è vana” in quanto “ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni essendo un possesso per tutta l’eternità”. Tali contrapposizioni fanno percepire chiaramente come la bellezza ruoti lungo un’illusione ammiccante da un lato l’effimero e dall’altro l’eterno. Proprio in quest’ultimo la scultura, nelle svariate determinazioni, trae la sua forza partendo dall’indicazione fornita da Auguste Rodin: “la forma nuda dell’uomo non appartiene a nessun particolare momento nella storia; essa è eterna e può essere ammirata con gioia dalla gente di tutte le età”.
Il Maestro Sergio Comacchio, in una disamina figurativa, ha trovato nella scultura e nel disegno massima espressione. Proprio levando il superfluo dalla materia al fine di ridurla a una forma del corpo (definizione cara al Vasari), si possono apprezzare le qualità innate dell’artista. Diversamente dalla contemporaneità divisa tra forme irregolari, cerebrali spesso in giochi di luce, l’artista riscopre nella classicità l’eleganza della bellezza.
Attraverso un’interpretazione personale, l’aver aderito a un gusto caro al mondo classico gli consente di cogliere le essenze migliori determinando uno stile proprio. Un arco temporale che unisce non solo l’antica Grecia e l’impero Romano, ma trova nel Rinascimento e nell’Impressionismo francese valide corrispondenze.
Le sculture di Comacchio non possono che emanare saggezza, senza cercare situazioni compositive impossibili. Le sue figure femminili dal piacevole e affascinante stile rappresentano forza e dolcezza come una donna moderna richiede. L’abilità del Maestro consiste nel sublimare corpi trasformando simultaneamente la loro stessa essenza, idealizzandoli all’interno di rapporti segreti divisi tra l’essere ideale/reale, assoluto/relativo. Proprio ispirandosi ad Antonio Canova, le opere di Comacchio diventano misurate e armoniche differenziandosi lungo una maggiore introspezione psicologica, che risulta assente nelle perfette anatomie neoclassiche dello scultore di Possagno. L’attualità di Comacchio consiste nel dosare alle sue opere differenti stati d’animo senza esasperazioni. La staticità scultorea permette di avvertire un piacere spirituale, che anima la semplicità e la natura di tutte le cose in forma genuina e certa, aderendo al credo di Egdar Degas che otteneva “la verità grazie alla scultura, poiché quest’ultima obbliga l’artista a non trascurare nulla di quello che conta”.
Sergio Comacchio, attraverso una ricerca semplice ma meditata, ottiene una “finezza e pulitezza tanto perfetta” per una grazia senza fine, riprendendo la critica di Antonio Vasari dedicata all’interprete dell’umanesimo scultoreo fiorentino Antonio Rossellino. Un paragone sinergico, poiché l’eleganza e il naturalismo trovano in essi vivaci corrispondenze per una rappresentazione non forzata ma sempre alta e di classe.
Comacchio dunque, grazie al personale saper fare, ferma nei suoi lavori l’energia ideativa al fine di creare semplice contemplazione, catturando simultaneamente quella vitalità che si cela in essi al fine di domare e contemporaneamente nutrirsi della stessa: tutto dunque pare bloccato all’interno di momenti atemporali dell’anima. Le sue sculture creano dialoghi segreti all’interno dei quali la bellezza, presente costantemente, si genera nella mente di colui che le ammira, soffermandosi alla loro vista senza porsi interrogazioni. Ogni posa delle sue creazioni ha un diritto esclusivo, che deve essere percepito solamente attraverso i cinque sensi. Ecco che il segreto artistico di Sergio Comacchio si rileva, perché la suadente armonia dei suoi lavori vive in liriche esperienze emotive.
Le creazioni scultoree del Maestro sono opere che fanno riflettere e permettono a coloro i quali le ammirano di fermare il fluire degli eventi. Hanno nel loro dna un tempo dell’attesa, in quanto la posizione e l’espressione, unitamente al loro incedere nella scena, determinano l’aspettativa di qualche accadimento che avverrà a breve. Spesso le braccia e le mani si uniscono creando una posizione atta ad effettuare un ulteriore movimento: un’azione ipotetica è pronta così ad essere esternata dopo un istante di riflessione, che lo scultore ben riesce a rendere in modo armonico. Lo sguardo è sempre vivo indicando delle personalità proattive e decise verso la vita.
La vitalità artistica del Maestro non è presente solamente nelle sculture, ma anche in diversi studi e disegni che sublima in veri e propri lavori di ricerca. Attraverso l’utilizzo di tecniche su carta quali la fusaggine, il guazzo, le matite elaborate e l’acrilico riesce a vedere la forma come ideazione e concetto. Le sue figure sono sinuose e sensuali, a volte parzialmente abbozzate, per una femminilità raffinata e morbida. La mano traccia in modo libero e disinvolto, consentendogli effetti delicati anche con pochi tratti. Citando Henri Matisse, per Comacchio “disegnare è come fare un gesto espressivo .. con il vantaggio della permanenza”, perché l’esercizio artistico è sempre effettuato dall’artista di Loria in modo sincero e assiduo, studiando costantemente il modello che vuole rappresentare per rendere lineare la morbidezza delle forme.
Scultura e disegno traggono dunque reciproca sinergia, permettendo al Maestro Sergio Comacchio di creare figure lungo un linguaggio luminoso e semplice ma soprattutto naturale. Le percezioni di canoni quali l’eleganza e il bello sono sempre presenti perché “la bellezza insieme alla grazia sono l’oggetto principale della scultura”, come ben evidenziato da Arthur Schopenhauer.
Le opere suscitano una sensazione di piacere estetico, permettendo nella frenetica contemporaneità di essere intellettualmente colte senza alcun ripensamento, perché la bellezza è una situazione effimera nella vita umana, ma non è fugace in quanto la forza dell’arte ha un potere concesso proprio dalla stessa mano dell’uomo: preservare nei secoli, salvo eventi catastrofici, quella intensa e piacevole emozione di appagamento che si avverte innanzi agli attraenti lavori suddivisi tra sculture, disegni ed oli di Sergio Comacchio.
Attimi senza tempo
26 novembre - 26 dicembre 2016, Museo Casa Giorgione, Castelfranco Veneto
...Assistiamo, ora, ad un nuovo ‘classicismo’, un ritorno nella sua espressività migliore non inteso come imitazione accademica, manifestazione di una ‘moda’, bensì come uno studio serio dell’antico. Comacchio lo ha scelto e lo esprime sulla scia della tradizione, quando evidenzia che già la teoria dell’estetica di Winckelmann aveva sottolineato che non è l’imitazione che conta, bensì lo studio profondo e fiducioso dell’arte. Quasi come nani sulle spalle di giganti, siamo portati a confrontare il passato con la contemporaneità, alla ricerca di un linguaggio assoluto e determinante per attuare un processo di ‘estrazione’ e di ‘distillazione’, per ‘raggiungere la reale semplicità della Natura’. Che poi Comacchio si avvicini con maggior predilezione alla tradizione plastica è certificato da quel suo modo di provocare un accorto rapporto con l’arte del Secolo appena passato. Lo si scorge quando in pittura cerca spunti dai post-impressionisti ed in scultura si accosta a Rodin e agli interpreti del nuovo romanticismo. Di lui cogliamo lo stesso modo di manipolare la materia, manifestando quel trasporto emozionale percepibile dalle patine colorate destinate a simulare superfici bronzee. Il suo agire è lo stesso del pittore che con rapide pennellate espande il paesaggio, il suo tratteggio lo definisce, il suo modellato è avvolgente e determinante per la resa della figura. Quell’innata maestria è riformulata come un’attenta risposta all’insegnamento dei suoi maestri e allo studio profondo del passato. Sospinto alla ricerca di emozioni naviga allora tra una ricerca realistica, alle volte, diretta e ad un affidamento alla simbologia di quella visione iconografica che si colloca tra la forza dell’agire direttamente sulle superfici e una visione estetica levigata e sensuale, ondeggiando tra superfici, piani e tridimensionalità plastiche. La realtà è vista con i suoi occhi ed assimilata con la sua sensibilità. Nulla di ‘erotico’, in lui, ma la ricerca diretta di una bellezza soffusa quasi in una forma di esorcismo finale. Colpisce la sua capacità di trasfondere all’inanimato la sua anima, di far vivere le sue figure di purezza e di bellezza. I suoi ascendenti si ritrovano in grandi scultori, che ritroviamo in quelle forme umane ricercate e levigate, stupefacenti per la loro bellezza, quasi che il corpo femminile e maschile, passando attraverso le mani dell’artista, si siano fissati per sempre. Se l’arte sta alla fine di un lungo percorso di formazione è anche, allo stesso tempo, all’inizio di un altro percorso fatto di creatività, fantasia e ricerca estetica. Proprio l’attitudine specifica alla creatività, segna la distanza tra un lavoro banale ed una buona realizzazione, tra un mediocre artigianato e l’opera d’arte. Una scelta di questo tipo impone la combinazione più proficua di nozioni, situazioni e tecniche fino alla creazione di un’opera artisticamente valida, capace di esprimere, comunicare o anche solo di esistere in sé. Il suo è uno stile contraddistinto da segni, forze, movimenti, originalità ed il suo percorso esaurisce tutte le esperienze che si ritengono più congeniali e pertinenti ad una sensibilità iconograficamente orientata al naturalistico. Comacchio va alla ricerca delle sue creature con un’intimità prolungata, appassionata e sofferta, opera con frequenti richiami alle più nascoste pulsioni della psiche umana, fondandosi su un mondo che, a sua volta, si radica nello studio del passato e non sulla rincorsa alle seduzioni delle mode presenti. Così egli s’inoltra nel mondo dell’arte, nel quale regole e indole personale si contendono una personalissima concezione della forma e del disegno che sembrano superarsi di pittura in pittura e di scultura in scultura. Il suo è e rimane un racconto dell’uomo, dell’individuo irripetibile, al centro di un universo dominato da regole inflessibili quasi come quelle della scultura. Intende l’arte con una naturale urgenza fisica, con un’emozione spontanea che diventa ritratto, paesaggio, natura morta. Le sue immagini, le sue forme, i suoi segni evidenziano dei possibili e impercettibili movimenti, sembrano tutte in attesa di qualcosa, vorrebbero agire, muoversi, procedere, c’è un orizzonte o un destino che li attende: è esso un dramma recondito, maturato nel suo intimo, in quell’inconoscibile e aggrovigliato regno che è dentro ognuno di noi e che non si svela mai totalmente, ma appare attraverso piccole fessure o rapidi tratti, che rendono il mistero ancora più attraente. La tensione sta nella volontà di superare ogni resistenza opprimente a vantaggio di una maggiore tensione vitale, riuscire a liberare l’energia interna, rimettendosi continuamente in gioco, grazie ad una ricerca che tenta di soddisfare sempre nuovi interrogativi. Nelle sue opere, da cui scaturisce non l’espressione di forti stati d’animo bensì sentimenti d’amore, calma e serenità, predominano le superfici curve, ben levigate, in cui la luce non va a scontrarsi con la materia, ma scivola lentamente, senza ostacoli. Così gli effetti di chiaroscuro non danno contrasto, si fondono insieme in un’ampia armonia di toni. Trovare la ‘forma’ che rappresenti il suo intimo profondo e sincero, nella perfetta simbiosi tra l’idea e la rappresentazione, tra l’ispirazione e il risultato finale è il suo fine, teso verso l’assoluto, in una sequenza inesausta di episodi espressivi, a volte compressi, a volte esplosivi nella totalità emotiva ed artistica che ha nella scultura, ma anche nelle altre espressioni, la sua risposta più matura. “Peccato che quella Ninfa non parli, dicea un Inglese, e quell’Ebe non s’alzi nell’aria! […] - è Canova a riferirlo - Io non presumo con le mie opere ingannare alcuno: si sa ch’elle son marmo, che le son mute e immobili: mi basta che si conosca aver vinto in parte la mia materia coll’arte ed avere avvicinato al vero. Se fosse l’opera mia veduta vera, che lode avrei dai miei sforzi? Mi giova anzi che si conosca esser marmo, che la difficoltà mi fa condonare i difetti: non aspiro che ad una illusione”...
Luce Armonia e Bellezza
12-27 Ottobre 2013, Castello di Godego
...La novità non sta dunque nella scelta dei soggetti, né tantomeno nella singolarità degli strumenti o dei linguaggi, ma nella sincerità dell’emozione provata di fronte ad essi e nella capacità di trasmetterla agli altri.
Ritroviamo i paesaggi asolani, tersi dalla luce del sole primaverile, con colline e chiome d’alberi trafi tti d’aria, mutevoli e lievi come nubi, dove i verdi e gli azzurri acquistano sostanza e brillantezza dal contrasto con i fondi aranciati e terrosi e le forme sono appena suggerite e sfi orate dal tocco rapido, inquieto e vibrante del pennello. Tutto è epifania di una felicità interiore, brivido e commozione di fronte alla natura, all’esistente ed è soprattutto nei paesaggi che S.C. abbandona ogni indugio descrittivo e il linguaggio si fa lirico, simpatetico, evocativo.
Negli studi monocromi invece l’anima scultorea dell’artista si imprime visibilmente nel tracciato pittorico, forgiando con folgoranti bagliori le masse corporee e scandendo con gli scuri gli affondi dei piani.
Nell’opera “due fi gure - tonalità di grigio”, una donna ritta al centro del quadro e con le braccia sollevate, l’altra distesa e raccolta ai piedi, la tensione è data non solo dalla struttura compositiva del dipinto, ma dal segno incisivo, nervoso che percorre e modella le fi gure e che è la cifra stilistica dell’artista.
Similmente, nelle sculture, la realtà dei corpi è sublimata, l’evidente bellezza delle fi gure si sostanzia nella grazia e giovinezza del loro essere, ma la classicità delle pose è superata dalla verità dei modelli, dalla spontaneità dei gesti e dalla sensualità e sinuosità delle linee e delle forme. Le fi gure femminili con i cerchi, appaiono ancor più vive e sfuggenti per effetto della superfi cie mossa della cera, sembrano assumere concretezza dall’improvviso agglutinarsi della materia, come fulminee visioni destinate presto a mutare sotto i nostri occhi. E’ tuttavia con i ritratti che l’autore tocca le corde più alte del linguaggio espressivo: in “ritratto su fondo rosso” la verità del soggetto è resa dal naturale trascolorare della luce vivida sull’incarnato del volto in contrasto con l’ombra estesa sull’altra metà del viso e con lo sfondo scuro alle spalle; l’iride nera, lo sguardo intenso e profondo fanno così da evidente contrappunto all’acceso e sanguigno vigore dei tratti facciali.
Ugualmente i volti a tuttotondo (Denise, Bruno, Italo...) diventano reali presenze, pregne del carattere e delle sembianze di una persona, sottratte alla condizione ineludibile del tempo, così che ciò che appare non è soltanto l’essenza del soggetto, ma la vita stessa, fi ssata al compimento della sua perfezione. La scultura non è però solo pieno e luce, ma anche scavo, assenza, spazio d’ombra e, così come la musica, si compone di pause e silenzi. Poiché ciò che vive non è tutto manifesto, ma è anche interiorità, mistero, gli sguardi hanno duplice valenza: ammiccano a uno “spazio altro” che sta dentro e fuori la fi gura, creando una giocosa e magica corrispondenza tra lo spirito virtuale della persona ritratta e quello reale dell’osservatore, tra l’identità rappresentata e celata dall’oggetto e quella del pubblico.
In “Michela”, vivace ritratto in terracotta, la treccina di sottili fi li di cotone appuntata alla nuca si fa ilare e raffi nato vezzo, richiamando all’indistinto confi ne tra arte e natura, alla contaminazione tra mondo reale e suo artifi cio, come nella scultura polimaterica di Degas ”Petite danseuse de 14 ans”.
Ciò che appare naturale e semplice agli occhi è, in verità, frutto di un’attività intensa e di una lunga e profonda esperienza dell’artista, è catarsi del proprio linguaggio e risposta a un bisogno irrinunciabile: l’espressione di sé e del proprio sentire. Per questo Sergio Comacchio si colloca al di fuori delle mode e delle recenti tendenze del mercato contemporaneo, perché il coraggio dell’autenticità è oggigiorno, in sé, quasi atto profetico, di rilancio di valori, di coerenza, di proiezione e intuizione delle istanze del futuro e, proprio per questo, spesso, anche di inadeguato riconoscimento. Piace allora pensare davanti a questi lavori che, fi nché vi sarà ragione di commozione e meraviglia di fronte all’opera dell’uomo, vi sarà spazio per l’arte e la speranza, perché, come diceva il protagonista di uno dei romanzi più celebri di Dostoevskij è proprio l’incanto, “la bellezza che salverà il mondo”.
Il segno, la forma, il colore
17 Marzo-6 Aprile 2007, Loria
...Tuttavia, è nei ritratti che Sergio ci propone la più autentica dimostrazione delle sue grandi doti tecniche e artistiche, poichè egli sa cogliere in essi non la semplice realtà puramente fisiognomica o imbellita, ma la psicologia del soggetto. Non deforma e non trasforma la figura, ma imprimendo i suoi segni, la modella interpretandola con una musicalità plastica priva di preziosismi decorativi. Il prezioso semmai sta nell'impasto materico, nelI'introspezione, nella saldezza costruttiva, nel saper cogliere con sicurezza nel ritratto il carattere.
Anche nella pittura l'artista sa esprimere quegli stati d'animo nei quali le sue figure sono immerse: la figura, nei suoi ritratti, nasce dal quadro delineandosi, prima di tutto, attraverso la sua straordinaria intuizione artistica.
I suoi tesi paesaggi, come i ritratti, hanno un'anima. Si compongono come frammenti di un mondo, intessuti di riservatezza, essenziali, contenenti tutto quanto basta alla meditazione. Usa con notevole maestria tutte le tecniche pittoriche.
Ovunque l'esecuzione avviene nel rispetto delle apparenze sensibili, alla ricerca del sostanziale e, particolarmente negli acquerelli, la maggiore disinvoltura dell'artista si traduce spesso in un più marcato distacco dall'oggetto, in una più vaporosa e lirica resa del motivo.
La suggestività delle pittoresche immagini delle colline asolane lo affascinano e offrono al suo estro l'occasione per esplodere nella gamma più vasta delle sue interpretazioni senza artifici.
La sua e una pittura che rivela nelle scelte dei soggetti, nel dettato di una continua spinta poetica ed insieme la severa consapevolezza di artista vero e capace.
Muse Sculture e Dipinti
5-20 Marzo 2005, Castelfranco Veneto
... Il classicismo di Comacchio è apprezzabile con altrettanta evidenza sul versante tematico. Il suo soggetto predominante è il corpo umano, in specie quello femminile, che - come affermato ancora da Manzù - costituisce l'ideale per lo scultore, perché perfetta sintesi volumetrica di pieni e di vuoti.
Simile predilezione per la figura presuppone non solo la fede in un realismo idealizzato (che è il modo di rappresentare più altamente convenzionale) ma anche, nel caso specifico, una concezione tradizionale della donna, vista come espressione di grazia, di riserbo, di compostezza, in piena controtendenza rispetto a quanto si osserva - giusto per richiamare i casi in cui l'identità di genere coincide con la trasposizione creativa - nella vivacissima costellazione delle artiste contemporanee, da Louise Bourgeois a Carol Rama; da Gina Pane a Marina Abramovic; da Cindy Sherman a Orlan, per le quali rappresentazione del corpo femminile significa essenzialmente deformazione, metamorfosi, sfregio, finanche protesta contro modelli estetici percepiti come prevaricazione maschilista o imposizione dei diktat estetici della società di massa. Si ricorda, a proposito della centralità del tema del corpo nella cultura del nostro tempo, che a esso era stata dedicata la Biennale Arti Visive del 1995, quella celebrativa del centenario dell'istituzione.
Da più di un secolo, infatti, la figura umana è divenuta l'indice più sensibile, per gli artisti e per la coscienza collettiva, dei rivolgimenti e degli orrori della storia, di cui il Novecento appena concluso ha fornito un terrificante campionario, una sequenza quasi ininterrotta di "trionfi della morte" su scala planetaria. Tragedie che hanno minato l'idea, già molto compromessa, di un umanesimo - laico o cristiano - presente e attivo nel mondo.
I milioni di corpi seviziati, martoriati, annientati, sono quegli stessi che vediamo proposti e allegorizzati dai dipinti di Picasso e di Bacon, dalle sculture di Alberto Giacometti, dalle cataste dei morti nei lager nazisti che Music trasferisce sulla tela con una leggerezza di tocco inversamente proporzionale all'intollerabile pesantezza, materiale e morale, del soggetto.
Ma il mondo figurativo di Comacchio risulta immune da tutto questo, perché un artista è anche libero, fra tanti orrori, di chiamarsene fuori, di isolarsi per perpetuare un ideale di bellezza e di civiltà non minacciato dalla rovina. Un simile atteggiamento è insieme nostalgico e agonistico, così come qualsiasi ritorno al classico dopo la fine del mondo antico: basti pensare all'esempio più noto dell'età moderna, quello che tra Sette e Ottocento ebbe tra i suoi protagonisti Winckelmann, Canova, Thorvaldsen, i quali, sullo sfondo di rivoluzioni storiche e industriali destinate a cambiare la civiltà dell'Occidente, si fecero alfieri di una grecità tanto rarefatta quanto, in buona sostanza, arbitraria. La bellezza, insomma, che sempre lotta per affermarsi, nell'età della tecnica deve farlo a maggior ragione per non morire.
E a un'idea di bello che include la convinzione della sacralità naturale del corpo, Co- macchio rende un tributo virilmente commosso, nel solco di un antropocentrismo considerato, nonostante tutto, ancora integro e praticabile nelle coordinate concettuali di base. Ecco allora che le sue immagini di donna, imperative e al contempo indifese nella loro casta nudità, si offrono al nostro sguardo come creature semidivine, muse - secondo la definizione dell'artista - nel doppio significato di rivisitazioni non paludate delle antiche protettrici delle arti e dei saperi, e di simulacri allusivi a una dimensione dello spirito intesa come intimo raccoglimento.
Il dialogo cui esse invitano, severe ma avvicinabili, promette ristoro, non allarme; sospensione del frastuono, non suo incremento. Idoli o totem perfettamente compiuti di una religione laica per la quale il bello coincide ancora con il buono, non pongono l'osservatore in uno stato di allerta, intimandogli di entrare in conflitto con un sistema di valori codificato da lunghissimo tempo. Muse, si è detto, non Furie o Erinni dalle espressioni stravolte, dai ventri sterili o gravidi di mostri, e neppure frammenti di una classicità concepibile soltanto nel suo essere rovina, come propone lo scultore di origine polacca Igor Mitoraj.
Nei busti così come nelle sculture a figura intera il soggetto è quasi sempre colto in uno stato di equilibrio, in un'espressione concentrata e autoprotettiva, cui allude talora il gesto delle braccia incrociate sul seno. La sintonia dell'artista con il Degas pittore e scultore di ballerine o con il Francesco Messina della fase "neoclassica" traspaiono anche dalla più recente attenzione per il tema della danzatrice, che Comacchio rappresenta perlopiù - come il suo illustre antecedente francese - nei momenti che precedono l'azione, allo stesso modo in cui di una nuotatrice gli interessa non il movimento nell'acqua ma la posa in tensione assunta prima del tuffo.
Eccezion fatta per due impegnativi gruppi bronzei dedicati al tema dell'emigrante e collocati stabilmente in spazi pubblici, l'artista preferisce la figura singola, anche di piccole dimensioni, mostrando in questa scelta un altro tratto classi- cistico, nel senso categoriale del termine, vale a dire la passione per la variazione sul tema, per l'indagine moltiplicata fino a comporre delle serie coerenti. Non a caso, tra gli artisti che Comacchio sente più affini, vi è Giorgio Morandi, instancabile pittore - nella sua fase maggiore e antonomastica - di un ristretto gruppo di oggetti continuamente ricombinati e perciò stesso da accogliere - con le parole di Roberto Longhi - "come stimolo a ricercare ancora e sempre dentro di sé, non fuori di sé". Dentro di sé un artista come Comacchio ritrova, immutabile, il modello di un classicismo acronico, rispetto al quale l'innovazione è possibile soltanto come piccolo scarto, come lieve concessione al non finito, come rinuncia alla levigatezza assoluta delle superfici (e in questo agisce da una parte la lezione di Rodin, dall'altra quella - forse meno evidente a un primo sguardo - del pur antinaturalistico Medardo Rosso). Fuori di sé sembra esistere solo il caos, il rumore e la furia dei "nuovi barbari" che realizzano dipinti, sculture, installazioni e quant'altro in assenza di un ordine estetico prestabilito e con i materiali più eterogenei.
Nel cerchio magico formato da una vita serena e di cui il luogo fisico dello studio appare l'emblema, è nondimeno lecito, a un artista appartato ma sicuro del suo mestiere, continuare a formare splendidi corpi di donna con la passione demiurgica di chi trae figure dalla materia informe. Intorno a quel cerchio, Sergio Comacchio dispone le sue semplici muse come testimoni e protettrici di un kosmos non del tutto scomparso. La scelta dell'inattualità è del resto un altro modo di avvertire il contatto urticante dell'attualità, ma per neutralizzarne gli effetti venèfici, se persino Ercole dovette soccombere dopo aver indossato la camicia di Nesso.
Lo sguardo
31 Gennaio-19 Febbraio 1998, Bassano del Grappa
... In particolare il volto femminile rimanda all'archetipo di una bellezza ideale, direi platonica, cioè riportata ad un modello assoluto. La natura, diceva Cézanne, si può ricondurre ad elementi geometrici puri. Così Comacchio inserisce idealmente ovali, sfere, quadrati, triangoli nella struttura di base delle sue opere. Si sente, quasi in filigrana, la scansione strutturale che conduce ad un ordine compositivo che è anche ordine mentale: biologico e psichico insieme. Su questo schema intellettuale si sovrappone, senza sforzo, l'immediatezza del segno, caratterizzato da una rapidità istintuale. Ne guadagna la freschezza dell'opera, quel suo apparire come evento improvviso su una base organicamente calibrata.
Ecco quindi la scelta stessa dell'affresco: tecnica in cui la finezza materica, la granulosità del tessuto, l'assorbimento della luce, il senso stesso del muro corroso si uniscono alla sensazione di una temporalità del fare, come momento di estrinsecazione immediata dell'immagine. Il tutto assume un'aura che è antica e nello stesso tempo moderna, fatta di scatti timbrici e di larghe pause meditative, di raffinatezze cromatiche e di primarietà espressive. Ma poi ci si accorge che anche nei pastelli, e persino negli acquerelli, l'immagine assume la stessa fisionomia: quella suggestione che offre proprio un impianto di congruenza formale classica su cui si salda l'impromptu brillante dell'artista. I ritratti in particolare, sia pittorici sia scultorei, diventano momenti in cui i caratteri fisionomici si saldano a quelli psicologici; e la vitalità ne zampilla in modo del tutto spontaneo. Il ritorno a Raffaello, di cui si parlava, è appunto un rinverdire della classicità perenne. In questo senso l'opera di Comacchio rappresenta senza presunzioni nè albagie il momento di una cultura moderna che si rinnova attraverso i valori perenni dell'antico.